Meditazione e Preghiera

 

In quel tempo, i settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli». In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo». E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono». (cfr. Lc 10, 17-24)

Tra qualche giorno il Santo Padre partirà per il suo 38.mo Viaggio Apostolico in Kazakhstan, dove prenderà parte al Congresso dei Capi delle religioni mondiali e tradizionali e pregando per Lui e la Sua Missione Apostolica rileggevo il brano di Vangelo di Luca che vi ho riportato in apertura e le parole dell’Evangelista che riporta nel dialogo con i settantadue mi suggeriscono questa riflessione sui sacerdoti e il loro impegno pastorale che desidero condividere con voi, come occasione di preghiera per il Papa, e per tutti sacerdoti del mondo.

I problemi sono mille nella nostra società e forse dimentichiamo i nostri parroci, i vostri sacerdoti. Ci ricordiamo o fanno notizia i vertici della Chiesa o quando c’è qualche problema, scandalo o aspetto spiritoso ecc. ma del povero sacerdote di periferia, di frontiera che nessun social nota e che forse vive una realtà differente e complicata, nessuno si preoccupa.

Anche il cuore del sacerdote, però, rischia di avvelenarsi ogni giorno difronte alle mille difficoltà della vita. Si avvelena per una società distratta che si rifugia nella noia quotidiana, scaricando inconsistenza su cose e persone, lamentandosi e puntando il dito e anche i preti rischiano di essere mangiati da questo verme interiore per la poca efficacia o risposta pastorale, per un sordità dei fedeli al messaggio evangelico e per mille problemi che si accavallano distogliendo l’attenzione delle cose dello spirito. Fatichiamo a rallegrarci per il nome scritto nel cielo e più attenti alle cose concrete, un grosso rischio per tutti e anche per noi sacerdoti.

Parlo per me, ovviamente, ma credo che la strada da percorrere, che è poi il fondamento di ogni nostra azione, sia la preghiera, la meditazione, la liturgia ben fatta, la direzione spirituale, la formazione culturale permanente e questi aspetti prima di ogni altra attività o iniziativa, prima di organizzare o pensare a cose da fare e da condividere, è importante fermarsi a pregare per ritrovare sempre ogni giorno le radici della nostra vocazione e del nostro servizio nella Chiesa.

Uno dei rischi del prete oggi è di essere burocrate, e il Papa ce l’ho ricorda più volte di non gestire la vita delle nostre comunità come un ufficio, rischiando di perdere così lo specifico di essere invece compagni di viaggio, ascoltatori attenti dei fratelli e tra fratelli.

La gente sembra chiederci tutto eccetto quello per cui siamo stati ordinati sacerdoti e questo può portare sconforto, delusione, tristezza, ecco il senso della vostra preghiera, perché ogni sacerdote e vescovo possa sempre essere quella persona capace di guidare, dirigere, animare, confortare e dare speranza.

Ora mi domando: ma la gente che si avvicinava a Gesù cosa gli chiedeva? Se ricordate bene i vangeli chiedeva i bisogni elementari della vita: pane e salute, in questa richiesta semplice e normale, Gesù, dopo aver pregato e averli accontentati compiva la sua vera missione, arrivava al cuore della situazione con le Sue Parole con i Suoi Gesti con la Sua Presenza.

Pertanto il rischio di fare dei Sacramenti un lavoro invece che un servizio è grande se perdiamo di vista il primo movimento, quello della preghiera e di rallegrarci perché i nomi sono scritti in cieli. Dobbiamo riprendere lo stile di Gesù, attento e premuroso alle cose del mondo per arrivare a quelle dell’anima. Per essere capaci di questo, serve la nostra capacità di intimità con Cristo nella vita e questa la si acquista nella preghiera, nello stare con Lui, per vivere di Lui poi nei fratelli.

Una comunità santa è l’obbiettivo, quindi, di ogni parroco se non la si ottiene, allora la colpa, se di colpa si parla, è causa della poca santità del sacerdote. Parlo per me e ne sono convinto, se la mia comunità non cresce spiritualmente è per la mia poca fede. Pregate per i vostri sacerdoti e chiedete a loro di parlarvi di Cristo, di aiutarvi a crescere nelle cose del cielo e dello spirito.

“Perché la tristezza secondo Dio produce un ravvedimento che porta alla salvezza, del quale non c’è mai da pentirsi; ma la tristezza del mondo produce la morte. Infatti, ecco quanta premura ha prodotto in voi questa vostra tristezza secondo Dio, anzi, quante scuse, quanto sdegno, quanto timore, quanto desiderio, quanto zelo, quale punizione! In ogni maniera avete dimostrato di essere puri in questo affare”. (2 Cor. 7, 10-11)

Le parole dell’Apostolo ci offrono lo spunto per iniziare questo cammino, respingere l’eventuale tristezze pastorale, perché questa viene dal maligno, solo quella che vien dal pentimento dei nostri errori è buona e ci permetterà di rinnovarci nella nostra vocazione e nel nostro servizio alla Chiesa. Riconoscere le nostre tristezze, guardarle in faccia ci aiuterà a superarle per capire il nostro stato d’animo, altrimenti le tristezze ci porteranno altrove.

Per fede dobbiamo ripartire, come Abramo, ripartire per ritrovare quella sapienza che quando siamo spaesati, delusi, ma coscienti dei nostri errori, avremo l’occasione di rimetterci in gioco e riprendere in mano il nostro ministero. Passare dalla notte dei sensi per quello dello spirito come ci ricorda San Giovanni della Croce*.

Ritrovare il filo della gioia, nonostante le delusioni pastorali, ravvivando la memorai grata della chiamata ad essere “leviti” per Lui, consapevoli dei propri limiti e vulnerabili, ci aiuterà a riprendere il cammino e ad essere sale che da sapore alla nostra vita e a quella delle nostre comunità.

Una riflessione a cuore aperto per me e per chi forse vive questo momento invitando la mia comunità e chi ha la pazienza di leggere di pregare per i Sacerdoti, i Vescovi e la santa Chiesa di Cristo.

Amate la Chiesa, servitela e pregate per essa. Siate vicini ai vostri Sacerdoti ai vostri Vescovi,  al Papa, con figliale devozione, partecipate alla vita della Chiesa con gioia e serenità, questa terrà lontano il male e sarà portatrice sempre di speranza e di amore ad ogni uomo.

@unavoce

Foto di Copertina: Chiesa “Madonna di Loreto” – 15° Stormo – Interno

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“Per Giovanni della Croce l’uomo è essenzialmente un essere in cammino, in perenne ricerca: di Dio naturalmente, essendo stato fatto da Lui e per Lui. Questo ritorno verso Dio egli lo immagina come la salita di una montagna, il Monte Carmelo, che rappresenta simbolicamente la vetta mistica, cioè Dio stesso nel suo amore e nella sua gloria. Per arrivare alla meta che è l’unione d’amore trasformante con Dio (o santità cristiana) l’uomo deve affrontare con coraggio e pazienza le due fasi o tappe, della educazione dei sensi (notte dei sensi) e del rinnovamento del proprio spirito (notte dello spirito) ambedue esperienze misteriose e dolorose di spoliazione interiore. Con la notte dei sensi (attraverso un duro ed esigente impegno ascetico) l’anima si libera dall’attaccamento disordinato catturante e spiritualmente paralizzante delle cose sensibili, dal modo di giudicare e di scegliere basati sul proprio egoismo e sul proprio interesse immediato, sull’utilitarismo quotidiano nei rapporti interpersonali, sulle comodità di ogni genere e sull’abbondanza superba e gaudente. L’uomo dei sensi e quello totalmente prigioniero di un’unica prospettiva, quella terrena, difficilmente capirà le esigenze di Dio e del Vangelo.

Con la notte dello spirito invece ci si affranca dalle false certezze e dai falsi assoluti della propria intelligenza, affidandosi così totalmente e liberamente a Dio, attraverso l’esercizio delle virtù teologali, quali la fede e la speranza in Cristo, e la carità verso Dio e il prossimo. Si tratta del passaggio doloroso e lungo tanto che può durare tutta la vita dall’uomo “vecchio” all’uomo “nuovo”, da quello “terreno” a quello “spirituale”, da quello mosso dall’egoismo (la carne) a quello sospinto e motivato dallo Spirito, di cui parla San Paolo: un morire per rinascere in Cristo. Giovanni della Croce parla di rinunce, di lasciare tutto, di nulla (quali sono le cose rispetto a Dio), di salita, di notte oscura, tutta una terminologia che caratterizza la vita spirituale secondo lui come un lavoro (di auto correzione e autocontrollo nelle proprie azioni e decisioni), un impegno serio, una fatica dura, una ascesi costosa, graduale e continua… che non si può realizzare dall’oggi al domani. Giovanni della Croce non comprende (e scoraggia) quelli che “scalpitano tanto… che vorrebbero essere santi in un giorno”. (Cfr. Famiglia Cristiana)