San Giuseppe la sua vita, il suo esempio

 

“Qualunque grazia si domanda a San Giuseppe verrà certamente concessa, chi vuol credere faccia la prova affinché si persuada”
S. Teresa d’Avila

“Dio ha concentrato in S. Giuseppe gli splendori di tutti i Santi”
S. Gregorio Nazianzeno

 

Oggi, dieci marzo, iniziai la novena a San Giuseppe e in questo anno a Lui dedicato, nel 150° anniversario della sua proclamazione a Patrono della Chiesa universale, vorrei proporvi un testo stupendo di don Tonino Bello, un uomo, un prete un vescovo un santo di cui spesso vi parlo o vi cito, questo suo scritto ci stupirà e ci aiuterà non solo a conoscere di più san Giuseppe, ma a comprendere la vita. Ci aiuterà a comprenderne non solo la sua vocazione, ma a pregarlo per noi, imparando un a vita diversa, bella, elegante, impegnata, educata, attenta, condivisa e per tutta la Chiesa, perché sempre possa essere autentica e vera annunciatrice del Vangelo nel tempo e secondo i tempi.

“Caro San Giuseppe, scusami se approfitto della tua ospitalità e mi fermo per una mezz’oretta nella tua bottega di falegname per scambiare quattro chiacchiere con te. Non voglio farti perdere tempo. Vedo che ne hai così poco, e la mole di lavoro ti sovrasta. Perciò, tu continua pure a piallare il tuo legno, mentre io, seduto su una panca, in mezzo ai trucioli che profumano di resine, ti affido le mie confidenze. Non preoccuparti neppure di rispondermi. So, del resto che sei l’uomo del silenzio, e consegni i tuoi pensieri, profondi come le notti d’Oriente, all’eloquenza dei gesti più che a quella delle parole. Vedi, un tempo anche da noi le botteghe degli artigiani erano il ritrovo feriale degli umili, vi si parlava di tutto, di affari, di donne, di amori, delle stagioni, della vita, della morte. Le cronache di paese trovavano lì la loro versione ufficiale, e i redattori dell’innocuo pettegolezzo quotidiano affidavano alle rapidissime rotative degli avventori la diffusione delle ultime notizie. Il tempo passava così lento, che gli intervalli scanditi ogni quarto d’ora dalla torre campanaria sembravano un’eternità, ma forse era proprio questa lusinga di eternità a rendere preziosa un’opera di artigianato e a darle vita era proprio quella angosciante porzione di tempo che vi veniva rinchiusa. Sembrava che la materia prima di una seggiola o di un vomere non fosse tanto il legno od il ferro, ma il tempo; e che la fatica del fabbro o del carpentiere, del sarto o del calzolaio fosse quello di addomesticare i giorni comprimendoli nella materia e crearsi per un istinto di conservazione riserve di tempo negli otri delle cose prodotti dalle sue mani. Il tempo allora era imprigionato nella materia come l’anima nel corpo, ruggiva dentro un oggetto e gli dava movenze di vita se non proprio l’accento della parola. Le cose nascevano perciò lentamente e con i tratti di una fisionomia irripetibile. Come un figlio, prima un atto d’amore, dolcissimo e breve, poi nove mesi. Oggi purtroppo qui da noi di botteghe artigiane ne sono rimaste veramente poche. Al loro posto sono subentrate le grandi aziende di consumo: non si genera più, o meglio si concepisce solo l’archetipo, ma senza passione e con molto calcolo. L’archetipo poi, questo sordido ermafrodita, riproduce con ritmi di allucinante rapidità, squallidi sosia, con l’unico desiderio che campino poco. Ed eccoli lì, allineati, questi elegantissimi mostriciattoli dalla vita breve, belli, ma senz’anima, perfetti, ma senza identità, lucidi, ma indistinti. Non parlano perché non sono frutto di amore, non vibrano, perché nelle loro vene non ci sono più i fremiti del tempo prigioniero. Si, Giuseppe! È proprio questa anemia di tempo che rende gelide le nostre opere”. CONTINUA … “Si è fatto tardi, Giuseppe. Nella piazza non c’è più nessuno. I grilli cantano sul cedro del tuo giardino. Nelle case, le famiglie recitano lo “Shemà Israel”. E tra poco Nazareth si addormenterà sotto la luna. Di là, vicino al fuoco, la cena è pronta. Cena di povera gente. L’acqua della fonte, il pane di giornata, e il vino di Engaddi. E poi c’è Maria che ti aspetta.
Ti prego: quando entri da lei, sfiorala con un bacio. Falle una carezza pure per me. E dille che anch’io le voglio bene. Da morire! Buona notte, Giuseppe!  
+ Don Tonino Bello (4 Marzo 1990)”. (Cfr.reginamundi)

Su San Giuseppe:

 Preghiera a San Giusppe scritta da Papa Francesco

 

 

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