Meditando
Abbiamo celebrato, domenica scorsa, la Solennità del Corpus Domini e abbiamo vissuto la scorsa settimana il nostro appuntamento con l’Adorazione Eucaristica, momento mensile per la comunità. Oggi voglio tornare a riproporvi quello che è già pubblicato nelle Attività parrocchiali a riguardo di questo momento di preghiera e lasciarvi una breve meditazione che possa accompagnare il nostro cammino cristiano. Meditazione che prendo e ripropongo di don Tonino Bello, in una introduzione che fa coincidere la Festa del Corpus Domini con una memoria di Maria. Madre e Figlio ci prendono per mano e ci guidano nella meditazione.
“Santa Maria, donna conviviale, tu ci richiami la struggente poesia dei banchetti di un tempo, quando, nei giorni di festa, a tavola c’era lei, l’altra madre, che ci covava con gli occhi a uno a uno, e, pur senza parole, ci supplicava con l’umido sguardo perché andassimo d’accordo tra fratelli e ci volessimo bene, trepida se mancava qualcuno, e finalmente felice solo quando rincasava l’ultimo dei figli… Forse solo in cielo scopriremo fino in fondo quanto tu sei importante per la crescita della nostra umana comunione. Nella Chiesa, soprattutto. È vero: essa si costruisce attorno all’Eucaristia. Ma non è meno vero il fatto che sei tu la tavola attorno a cui la famiglia è convocata dalla Parola di Dio e sulla quale viene condiviso il Pane del cielo. Facci sperimentare, pertanto, la forza aggregante della tua presenza di madre. Santa Maria, donna conviviale, alimenta nelle nostre Chiese lo spasimo di comunione. Per questo Gesù le ha inventate: perché, come tante particole eucaristiche disseminate sulla terra, esse abbiano a introdurre nel mondo, quasi con una rete capillare di pubblicità, gli stimoli e la nostalgia della comunione trinitaria”. (Cfr. diocesimaterairsina)
“Non riesco a liberarmi dal fascino di una splendida riflessione di Garaudy a proposito dell’Eucaristia: «Cristo è nel pane. Ma lo si riconosce nello spezzare il pane». Sicché oggi, festa del Corpo e del Sangue del Signore, mi dibatto in una incertezza paralizzante. Parlerò dell’Eucaristia come vertice dell’amore di Dio che si è fatto nostro cibo? Dirò della presenza di Cristo che ci ha amati a tal punto da mettere la sua tenda in mezzo a noi? Spiegherò alla gente che partecipare al pane consacrato significa anticipare la gioia del banchetto eterno del cielo? Mi sforzerò di far comprendere che l’Eucaristia è il memoriale (che parola difficile, ma pure importante!) della morte e della risurrezione del Signore? Illustrerò il rapporto di reciproca causalità tra Chiesa ed Eucaristia, spiegando con dotte parole che se è vero che la Chiesa costruisce l’Eucaristia è anche vero che l’Eucaristia costruisce la Chiesa?
Non c’è che dire: sarebbero suggestioni bellissime, e istruttive anche, e capaci forse di accrescere le nostre tenerezze per il Santissimo Sacramento, verso il quale la disaffezione di tanti cristiani si manifesta oggi in modo preoccupante. Ma ecco che mi sovrasta un’altra ondata di interrogativi.
Perché non dire chiaro e tondo che non ci può essere festa del «Corpus Domini» finché un uomo dorme nel porto sotto il «tabernacolo» di una barca rovesciata, o un altro passa la notte con i figli in un vagone ferroviario? Perché aver paura di violentare il perbenismo borghese di tanti cristiani, magari disposti a gettare fiori sulla processione eucaristica dalle loro case sfitte, ma non pronti a capire il dramma degli sfrattati? Perché preoccuparsi di banalizzare il mistero eucaristico se si dice che non può onorare il Sacramento chi presta il denaro a tassi da strozzino; chi esige quattro milioni a fondo perduto prima di affittare una casa a un povero Cristo; chi insidia con i ricatti subdoli l’onestà di una famiglia?
Perché non gridare ai quattro venti che la nostra credibilità di cristiani non ce la giochiamo in base alle genuflessioni davanti all’ostensorio, ma in base all’attenzione che sapremo porre al «corpo e al sangue» dei giovani drogati che, qui da noi, non trovano un luogo di accoglienza e di riscatto? Perché misurare le parole quando bisogna dire senza mezzi termini che i frutti dell’Eucaristia si commisurano anche sul ritmo della condivisione che, con i gesti e con la lotta, esprimeremo agli operai delle ferriere di Giovinazzo, ai marittimi drammaticamente in crisi di Molfetta, ai tanti disoccupati di Ruvo e di Terlizzi?
Purtroppo, l’opulenza appariscente delle nostre quattro città ci fa scorgere facilmente il corpo di Cristo nell’Eucaristia dei nostri altari. Ma ci impedisce di scorgere il corpo di Cristo nei tabernacoli scomodi della miseria, del bisogno, della sofferenza, della solitudine. Per questo le nostre eucaristie sono eccentriche. Miei cari fratelli, perdonatemi se il discorso ha preso questa piega. Ma credo che la festa del Corpo e Sangue di Cristo esiga la nostra conversione. Non l’altisonanza delle nostre parole. Né il fasto vuoto delle nostre liturgie”. (Cfr. Tonino Bello – Alla finestra la speranza. Lettere di un vescovo – Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 1988)
Foto di copertina: Libano 2006 Messa al campo