“non serve essere tutti concordi per essere amici”

 

«Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». (Giovanni 8,7)

 

Pur essendo ormai in una società multi culturale, multi razziale, multi religiosa, il nostro livello di tolleranza sembra diminuire invece di diventare un patrimonio della nostra vita. Nonostante le mille difficoltà che percepiamo e che vediamo reali del nostro vivere, nelle nostre terre, nei nostri ambienti e le mille difficoltà che alcuni subiscono attorno a noi e quindi dovremmo avere un senso di gratitudine perché tutto sommato abbiamo una posizione serena, siamo e stiamo diventando meno tolleranti, meno attenti, meno capaci di sopportare, di capire, di accogliere, di includere persone nella nostra vita, ma stiamo diventando esclusivi, settoriali, discriminanti alcune volte con giudizi e pregiudizi accusatori di situazioni, di disagio, senza pensare al bene comune, ma solo al proprio, un senso maggiore di individualismo e di egoismo che ci snatura e ci rende incapaci di dialogo sereno, attento e rispettoso.

Fatichiamo ad accettare le opinioni differenti, le visioni della vita e dell’essere che non siano come la pensiamo noi, fatichiamo, pur ritenendoci moderni, di accogliere e non riusciamo ad accettare le diversità e ogni situazione che in qualche modo esce dai nostri schemi la vediamo come un attacco personale al nostro benessere. Tutto sembra remarci contro e la reazione è una continua lamentela e una continua accusa a destra e a manca senza fermarci a riflettere con onestà intellettuale di vita per quello che siamo e abbiamo, pensando che tollerare sia un limite.

“La tolleranza però non va confusa con la distanza emotiva, tanto meno con l’indifferenza, che è uno sguardo altrove e una posizione di passività priva di partecipazione affettiva. Non è neanche espressione di debolezza come qualcuno sostiene. È invece forza, energia che consente di tenere botta nelle situazioni difficili della vita. Ed è qualcosa che ha a che fare con la flessibilità necessaria per poterci adattare alla realtà variegata che circonda l’esistenza. Ma poiché l’essere tolleranti non è una dotazione di “fabbrica” o un’abilità del pensiero che ci ritroviamo già pronto alla nascita, questa va coltivata con attenzione. Si forma a partire dalle relazioni di attaccamento e dai legami di affetto che ci consentono di costruire il senso di fiducia negli altri e in noi stessi. Poi però le fondamenta della tolleranza stanno nell’educazione, cioè in quel processo che permette lo sviluppo dell’individuo e la sua espansione, la realizzazione personale e quella sociale. Per questo i bambini vanno educati precocemente a diventare tolleranti soprattutto fornendo loro modelli di comportamento coerenti. Riuscire ad essere tolleranti è un traguardo, a cu si arriva imparando a dare attenzione all’altro ed esercitando un ascolto empatico. È come coltivare una pianta che è quella della disponibilità, prima seminata in serra, ovvero nel privato delle relazioni familiari e poi messa a dimora, nel terreno delle interazioni collettive. Forse la linea di confine tra tolleranza e intolleranza è sottile, ma il grado di intensità si può misurare ed è possibile percepire un livello allarmante quando il comportamento dei piccoli così come quello dei grandi è caratterizzato da forte difficoltà ad accettare il punto di vista degli altri e si manifesta con gesti aggressivi verbali e non verbali che evidenziano scarso rispetto, carenza di flessibilità mentale e di empatia. Educare precocemente i bambini con questi obiettivi può essere il primo passo per contrastare la violenza in tutte le sue forme. Bisognerebbe però riportare in campo modalità di relazione molto trascurate negli ultimi tempi come l’attenzione alla gentilezza e alla gratitudine che, condizionate dalla fretta con cui viviamo, ha eliminato il piacere dell’attesa e l’importanza della pazienza. Con lo stesso obiettivo si fa crescere tolleranza quando diamo valore ai processi di mediazione e insegniamo ai figli a negoziare, che è uno strumento privilegiato capace di contenere la conflittualità e aumentare collaborazione e condivisione”. (cfr. G. Maiolo

“Ciò che serve è soprattutto recuperare il rispetto nella ricerca della verità che anima ciascun credo. “Sarebbe un’illusione pensare che dobbiamo essere tutti d’accordo per essere tutti amici. La sfida delle nostre società oggi in Europa non è quella di trovare un punto comune di accordo fondamentale, ma di accettare che possiamo non essere d’accordo e che questo non è grave e che non per forza dobbiamo combattere gli uni gli altri per questo motivo”. Occorre imparare a discutere in modo autentico, polemico e persino acceso. Ma continuare a confrontarsi. Questo è il punto”. (cfr. VaticanNews)

Due riferimenti mi sono permesso di riportarvi come ampliamento e sottolineatura di questa situazione che tutti in modi più o meno differenti viviamo in noi e attorno a noi.

Ne emerge che bisogna educarci a questo, educarci a una maggiore capacità di ascolto, di gentilezza nei modi, di gratitudine per quello che abbiamo, maggiore rispetto dell’altro. Per essere amici sostiene l’autore del libro “Tolleranza?”, ricordandoci che “non serve essere tutti concordi per essere amici”, ma sembra nella nostra mente e da quello che il mondo ci presenta che debba essere il contrario, quindi da qui nascono lotte e divisioni, conflitti e distanze che invece di portarci a una vita felice, serena e condivisa ci distanzia creando guerre interne e oggi vediamo anche esterne, come sempre nella storia dell’umanità e nonostante la chiarezza del pensiero e la volontà di riuscirci, ogni giorno diventiamo sempre più intolleranti, non sopportando più niente e nessuno e mettendo continue regole che vorrebbero dire rispetto e apertura, che invece diventano limite e segnano l’umanità nella sua continua fragilità. Regole che dovrebbero essere naturali di rispetto e convivenza che invece ci dobbiamo porre per non cadere nelle peggiori delle reazioni.

Aiutiamoci, allora, ad essere più accoglienti verso il diverso, il non uguale a noi, aiutiamoci ad essere gentili, eleganti nei modi, nel linguaggio, rispettosi del pensiero e dello stile di vita degli altri, non pretendiamo qualcosa che non diamo poi noi per primi.

Credo che sia l’articolo di G. Maiolo che il libro di A. Candiard, pur trattando l’argomento in modi differenti e partendo da presupposti diversi, possano aiutarci a rivedere il nostro stile di vita il nostro modo di rapportarci e di condividere la vita.

Impariamo da Gesù a vivere questa dimensione di misericordia e tolleranza, più testi ci ricordano il vero atteggiamento cristiano, dalla parabola del figlio prodigo alla peccatrice che volevano lapidare, dall’accoglienza della Maddalena al dialogo con la Samaritana, dal povero assistito sulla via alla vista in casa di Zaccheo, tutti segni di apertura, di accoglienza, di dialogo che ci devono educare a vivere in modo diverso la nostra vita e la nostra fede.

@unavoce

 

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