Il Vangelo di domenica

 

Nell’esperienza dell’Apostolo Tommaso voglio leggere l’esperienza che anche noi facciamo. Nel Vangelo si legge che Didimo non era presente all’apparizione ma otto giorni dopo c’è anche Lui con gli amici e nel vedere nel toccare farà la sua professione di fede la più alta e la più solenne di tutto il Vangelo, riconosce Gesù come Figlio di Dio.

Ora potremmo leggere nelle parole dell’Evangelista che riporta quelle di Gesù che dice: “beati quelli che crederanno senza aver visto”, un rimprovero ma invece vorrei scorgere in questa sottolineatura non tanto il rimprovero a Tommaso ma l’esperienza che anche noi facciamo. Avremmo tutti voluto esserci vedere e toccare ma invece noi dobbiamo credere comunque e quando la vita si fa pesante quando la vita incontra il buoi sul suo percorso credere comunque e fidarci di Lui e affidarci alla Sua Misericordia, il suo Amore, quel tempo che Gesù dona ad ognuno di noi se sappiamo vedere al di là della vista, se sappiamo vedere e leggere i segni della vita alla luce di Cristo e non solo con la nostra logica.

L’altro aspetto significativo è che Gesù non appare mai a uno ma a un gruppo, insieme e Giovanni dice: “il giorno dopo … otto giorni dopo” è il “Giorno del Signore” perché è insieme che possiamo incontrare il Signore. Se la fede è un dono di Dio, se la vita spirituale è anche un aspetto personale di come viverla, sappiamo però e vediamo che la si coltiva insieme ai fratelli condividendo e spezzando il pane.

Anche noi presi da mille faccende quando Gesù viene non ci siamo ma poi c’è l’occasione di esserci. Dio appare e si fa attendere con Tommaso e fa nascere in lui il desiderio di vederlo e allora il nostro atteggiamento deve essere di pazienza e di fiducia, pazienza nell’attendere i tempi di Dio e non pretendere.

La illogicità storica della Pasqua ci porta all’amore supremo di quel gesto: donarsi per salvare! Da questi incontri inizia la missione dei discepoli, da questo calore, da questa amicizia, dal dono supremo della Pace, una Pace non solo esteriore ma interiore che nasce e scaturisce dalla Pasqua, da quel sacrificio, da quella Croce.

Anche noi siamo rinchiusi nei nostri mondi per paura, per protezione, per sfiducia ma Gesù irrompe nella nostra storia e appare a noi nel quotidiano del nostro vivere: nel povero, nell’incontro con altre persone, nel sorriso o nella croce di un fratello o di una sorella e ci chiede di fidarci di Lui e di essere fedeli a Lui e per esserlo e  per credere in Lui dobbiamo credere in noi e nel desiderio di vederlo di toccarlo con mano nel quotidiano quando vivi le tue giornate, quando cadi, quado sorridi, quando fatichi, quando ringrazi, quando sei triste o quando sei soddisfatto. Lì allora lo vediamo e lo tocchiamo e possiamo anche noi dire: “Mio Signore e Mio Dio”.

“Davvero Tommaso rappresenta tutti noi, quando, trovandoci di fronte a tanti fallimenti o dubbi, o avversità, pensiamo sia impossibile che tutto possa cambiare e che, con la fede e la pazienza, si possa avverare la speranza. Non riesco a pensare a uomini – per natura uguali a me, uguali ai santi, creature di Dio, votate alla visione del Padre – che riescono a vivere senza futuro, quel futuro che è nella nostra vita eterna, che Dio ci dona nella fede. Deve avere pure un senso questa vita! Un senso che non può essere certamente solo il benessere, il denaro, o quello che vogliamo, tutte cose che non sono la grandezza della vita eterna! Sono beni fugaci e, tante volte, soffocano proprio il meraviglioso dell’eternità. Voglio credere che tutti sentiamo la nostalgia del Padre, solo che ‘vederLo’, richiede – ora – tanta fede, l’abbandono di ogni sicurezza, una fiducia totale in Lui. “Ma noi, uomini di oggi – affermava Paolo VI, il 20 novembre del 1968 – facciamo opposizione: a che giova cercare Dio? Un Dio così nascosto? Non basta quel poco che se ne sa, o se ne crede di sapere? Non è meglio impegnare il nostro pensiero allo studio di cose più proporzionate alle nostre difficoltà conoscitive? La scienza? La psicologia? Cioè il mondo e l’uomo? Ci si dimentica che l’uomo in tutto il suo essere spirituale, cioè nelle supreme difficoltà di conoscere e di amare, è correlativo a Dio: è fatto per Lui; ogni conquista dello spirito umano accresce in lui l’inquietudine e accende il desiderio di andare oltre, di arrivare all’oceano dell’essere e della vita, della piena verità che sola dà la beatitudine. Togliere Dio come termine della ricerca, a cui l’uomo è per natura sua rivolto, significa mortificare l’uomo stesso. La cosiddetta ‘morte di Dio’ si risolve nella morte dell’uomo”. (cfr. Mons. A. Riboldi)

Gesù si fa conoscere con le su piaghe, queste fa toccare a Tommaso, Cristo lo riconosciamo nelle piaghe della vita, nella fatica, nella caduta solo così riusciremo ad aprire gli occhi e riconoscerlo aprire il cuore e fare la nostra professione di fede.

Vivere nell’amore condividendo lo spezzare il pane insieme è la vita nuova, è l’eredità che Dio ci ha consegnato: la vita eterna. Questa vita entra in noi a “porte chiuse”, entra nella nostra storia, entra nelle nostre paure e chiusure, ed entra con il dono della Pace “Pace a voi”. E da qui che deve iniziare la nostra testimonianza nell’annunciare la Pasqua, questo amore con il perdono dei peccati e la misericordia di Dio. La nostalgia di Dio il desiderio di vederlo e toccarlo riaccenda in noi la fede in Lui.

@unavoce

Foto di Copertina: fonte