Abbiamo letto domenica il Vangelo delle due sorelle Marta e Maria e se da una parte sembrerebbe un richiamo alla contemplazione a discapito dell’azione, credo che il Signore Gesù nella visita a queste sue amiche riportato dai vangeli, volesse invece insegnare ai suoi Discepoli uno stile di vita nuovo, non solo fatto di carità o azione ma capacità di contemplazione nel vivere di tutti i giorni, unendo i due elementi senza escluderli. 

Questa prospettiva mi ha portato a pensare alla vita quotidiana di ognuno di noi indipendentemente dalla vocazione che viviamo. Tra di noi ci sono uomini e donne che hanno consacrato la vita alla contemplazione e penso alle monache e ai monaci di clausura, così come alcuni tra noi l’hanno consacrata all’azione, alla carità e penso ai molti missionari e operatori religiosi e laici impegnati nel sociale, ma c’è un modo di vivere che è e dovrebbe essere della maggioranza che è quello del quotidiano, dove la vocazione è la famiglia o altre professioni dove sembrerebbe che l’aspetto contemplativo non ci sia o non abbia posto, invece la vicenda di Marta e Maria ci suggerisce che entrambi le azioni vanno conservate e amplificate senza escludere una o l’altra. Se Marta non si fosse preoccupata di ospitare i discepoli essi non avrebbero puto rifocillarsi e se Maria non avesse ascoltato il messaggio di Gesù non avrebbe compreso il significato profondo della sua venuta in mezzo a noi, pertanto cosa dobbiamo cercare di fare noi? Noi dobbiamo vivere una vita ordinaria che trasformi il nostro fare in contemplazione, in capacità di stupirsi delle cose e delle persone. Una spiritualità del quotidiano, una sacralità dei gesti ordinari e ripetitivi che diventano accoglienza della presenza del Signore. Un fare che non dimentichi il motivo per cui lo facciamo, un vivere le nostre vite che non dimentichi il fulcro della vita stessa che è Dio, Dio presente nel nostro quotidiano.

Se abbiamo bisogno di fermarci a pregare abbiamo bisogno anche di lavorare per vivere e coltivare l’aspetto umano e spirituale della nostra esistenza. 

Ogni gesto che compiamo deve essere un gesto d’amore e una contemplazione che diventa azione per quello in cui crediamo: il matrimonio, il sacerdozio, le singole professioni, militare o medico, professore o impiegato … mamma o papà, azione e contemplazione uniti in un unico gesto vivere la vita senza dimenticarci di Dio. Se così riusciamo a fondere i due elementi la nostra vita si realizza, prende colore e sapore e diventa felice perché al centro delle nostre quotidianità, dei nostri rapporti interpersonali, del nostro lavoro, dei nostri alti e bassi c’è e rimane Gesù Cristo. 

Questa è la vita che il Signore chiede di vivere ai suoi Discepoli e al suo popolo, questo è quello che dobbiamo fare.

Anche i monaci e le monache di clausura con lo stile lavoro e preghiera sono uniti per costruire il Regno così come le suore di madre Teresa di Calcutta o altre espressione di carità partono dalla preghiera per trovare forza coraggio a servire i fratelli.

Questa è la differenza dei credenti in ordine alla vita, alle perone, alle scelte vocazionali qualunque esse siano.

Non perdiamo questa prospettiva, facciamo di ogni giorno un giorno unico e irrepetibile. Facciamo delle nostre quotidianità una preghiera di adorazione e di contemplazione, facciamo delle nostre preghiere e liturgie un gesto di carità continuo e vivremo il Regno che Dio ha pensato per l’umanità salvata dalle schiavitù e libera dal peccato.

Un cammino lungo che prevede continue cadute ma che non deve farci perdere la speranza e la voglia di andare vanti in silenzio o nel rumore, nella preghiera e nell’azione, nel vivere la vita in modo buono e sereno per trasformare il male in bene la guerra in pace, l’odio in amore. 

Questo è il senso del nostro vivere e del nostro servire.

@unavoce

 

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