“Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”

(Sant’Agostino I, 1.5)

 

Mi viene da sorridere scrivendo, ma il pensiero che voglio comunicare è molto semplice e rischia di essere confuso con linguaggi moderni che non c’entrano nulla in quello che invece voglio sottolineare, ecco perché sorrido. Essere “altro” significa in questo contesto che sto per descrivere, è essere di una “pasta” differente, una tempra, un’epoca differente, per educazione, per formazione, per cultura e questo non è essere altro per essere migliori o superiori … no!, ma solo per dire “altro” significa che ognuno di noi ha dei doni, delle doti e ha una sua storia e un suo modo di essere, che pur adattandosi alla vita moderna, sia negli stili che nei linguaggi, però non cambia l’essenza. Adattarsi non è negativo, ne opportunista, ma direi solo intelligente.

Quando eravamo bambini noi si giocava con un pezzo di legno, l’abito bello era per le grandi occasioni, a trovare gli zii e gli amici era una cerimonia, a scuola ci si alzava in piedi quando entrava la maestra o il preside e così via. Ora questo è tutto passato? forse si, ma ritengo che l’eleganza della vita che è una forma di comunicazione, forse la più antica del mondo, rimane per chi l’ha dentro e noi siamo gente di quella “pasta”. Gente che cammina lenta, che parla con calma, che sta a tavola usando le posate, senza alzare la voce, che celebra la Messa con solennità anche quella feriale, che incontra le persone dando importanza e quindi tempo e bon ton all’incontro come se fosse un capo di stato … Questo modo di vivere, ormai lontano ai più nel correre frenetico di oggi, sembra una perdita di tempo, una esibizione, uno spreco, perché ci sono più urgenze, maggiori problemi, ecc… Fratel Biagio, un semplice che nella sua semplice povertà ci ha dimostrato l’eleganza di un uomo di Dio, ci suggerisce il contrario. Ecco noi siamo fatti per il paradiso, noi siano fatti per il cielo e al cielo dobbiamo guardare senza dimenticare di tenere i piedi ben saldi per terra con le regole della terra ma senza svendere quelle del cielo per primeggiare su quelle della terra.

Ogni epoca ha i suoi linguaggi, ma alcuni linguaggi superano il tempo e la storia, basti pensare al vangelo e alla Chiesa stessa.

Ogni uomo è re, sacerdote e profeta per il Battesimo, e dal Battesimo si diventa Figli di Dio, fratelli di Cristo. Allora la solennità dei gesti, la precisone con cui li si compiano non sono una banalità o una lentezza, ma sono il segno dell’attenzione. Noi non siamo gente dal “bùta su” come si dice in dialetto da queste parti, no!, noi siamo gente che cerca di fare le cose sempre per bene, con eleganza, piccole o grandi, per pochi o per tanti, per dieci o per uno, sempre considerando che ogni azione ha un suo cammino nel cuore di chi la vive e di chi la osserva e forse potrebbe essere l’unica e irripetibile occasione per parlare di Dio e/o per vivere di Lui.

Le nostre chiese ben curate, le nostre liturgie per organizzate nei dettagli per far sempre meglio partecipare sono la nostra evangelizzazione. La modernità talvolta ci porta a confondere il bello con il banale, le cose di Dio non sono mai banali, le cose della preghiera sono tutte importanti e da compiersi con dignità.

Il bello ci aiuta a ricordarci del volto di Dio, non ad umiliare, ma a impreziosire quella povertà che non dove essere miseria, ma libertà interiore. La nostra carità parte dal cuore da dentro di noi se non c’è questo atteggiamento raccolto non sarà carità sarà efficientismo. 

Ognuno, con i suoi doni e i suoi carismi è a servizio della Chiesa di Cristo, sarà la varietà dei carismi – la bellezza e l’eleganza, unita al “take e away” della vita di oggi, sarà il tempo passeggiando con quello che corre, la lettera scritta con il messaggio sul social – che la renderà sempre feconda e mai umiliata la Chiesa. Questa è la Chiesa di Cristo da più di duemila anni. Una Chiesa che, al di là del tempo e della storia, non perde la sua bellezza perché ha il cuore di Cristo e il volto di Maria. 

@unavoce

 

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