Segno d’amore

 

“non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato e avete già dimenticato l’esortazione a voi rivolta come a figli:
«Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore
e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui;
perché il Signore corregge colui che egli ama
e percuote chiunque riconosce come figlio».
È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre? Certo, sul momento, ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati.
Perciò, rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche e camminate diritti con i vostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire.
Cercate la pace con tutti e la santificazione, senza la quale nessuno vedrà mai il Signore; vigilate perché nessuno si privi della grazia di Dio. Non spunti né cresca in mezzo a voi alcuna radice velenosa, che provochi danni e molti ne siano contagiati”. 
(Eb 12, 4-7. 11-15)
 

 

Nella liturgia della Parola del primo febbraio scorso, la Chiesa ci ha fatto ascoltare un brano della lettera agli Ebrei, lettera che stiamo leggendo nelle S. Messe feriali di queste prime settimane del Tempo Ordinario, che vi ho riportato in apertura. Un testo forse, nonostante proposto dalla liturgia, che conosciamo poco essendo destinato, appunto, alla celebrazione feriale, che anche a chi più addentro alla partecipazione Eucaristica, forse, ci sfuggono.

Vorrei soffermarmi, pertanto, con voi a rileggere e a riflettere con semplicità senza intuizioni particolari, non ne sari capace, ma solo per richiamare a me e a voi l’importanza della correzione come segno d’amore, non solo da parte di Dio verso ognuno di noi, ma anche nel nostro vivere quotidiano con le persone accanto a noi. Una correzione vissuta nell’amore e con la carità, indispensabili per crescere. 

Tutti dobbiamo metterci nella dimensione del lasciarci correggere dal Signore, ascoltando la Sua Parola, meditandola e lasciandoci correggere dalla Chiesa e dal Magistero, garanti della nostra fede e del cammino cristiano.

Nella lotta contro il male e il peccato se saremo docili a lasciarci correggere vedremo nascere in noi giustizia e pace, un senso di serenità e di armonia interiore. Quante volte anche il nostro sacerdote, il nostro parroco o cappellano, nelle sue omelie, nelle catechesi ci ha suggerito degli esami di coscienza che con rispetto ci portavano a notare quei limiti del nostro vivere da correggere? Ovviamente nessuno è maestro e anche il sacerdote si deve mettere alla scuola della Parola di Dio per essere educato, corretto e aiutato nella sua vita personale e ministeriale, ma questo a sua volta non lo esonera, per la sua funzione, ad essere voce di quella Parola che fa della Chiesa una comunità di credenti.

Pertanto, compresa la correzione senza offesa da parte di nessuno ma semplicemente con uno sguardo interiore, ognuno di noi con rinnovata forza si deve rimettere in gioco, vigilando su quegli aspetti più fragili del suo vivere.

Le indicazioni al termine del brano della lettera agli Ebrei, ci devono portare nel nostro quotidiano, nelle nostre famiglie, nel posto di lavoro, tra di noi come comunità e come amici, ad impegnarci, a cercare la pace con tutti e il desiderio di migliorarci spiritualmente avendo cura l’uno dell’altro umanamente e cristianamente, senza far emergere maldicenze, invidie e gelosie che come sappiamo sono un veleno nel nostro vivere. Dobbiamo tutti imparare a starci vicini, a sostenerci perché la croce che ognuno porta non sia motivo di allontanamento ma occasione per sentire la vicinanza e il sostegno della comunità.

Custodire un nostro fratello, allora, sarà l’impegno che ognuno deve avere verso l’altro e questo significa pregare per lui/lei affinché la fatica della vita non lo allontani dal cammino verso il Signore. Anche solo una parola dolce e un gesto di attenzione possono fare la differenza.

Impariamo, come ci hanno insegnato molti santi, ad affrontare tutto nella fede e con la luce di Dio. Don Tonino Bello, alla fine del suo cammino di malattia, la sua preoccupazione era rimanere in grazia di Dio e ad ogni incontro chiudeva con questa richiesta: «Pregate per me, perché io rimanga fino alla fine in grazia di Dio»

Questo ci fa comprendere lo stile del cristiano, di come vivere e di come essere presenti nella comunità e nella società: con attenzione, con amore e dolcezza senza giudizio o pregiudizio, pertanto la correzione diventa indispensabile e se fatta con carità farà scoprire il volto di Dio, l’amore che Lui ha per ognuno di noi.

Leggi la Parola di Dio, meditala, ascolta la Chiesa e interrogati e se ti senti corretto, ringrazia il Signore, il Suo Amore ti ha raggiunto e scoprirai una nuova primavera spirituale e umana.

@unavoce

 

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